Il 14 giugno 2016, la procura di Trani ha disposto il sequestro dello stabilimento di Timac Agro di Barletta, che produce fertilizzanti, con l’obbligo per l’azienda di provvedere entro 90 giorni alla bonifica del sito ma con facoltà d’uso. Il responsabile legale dell’azienda, l’amministratore delegato Pierluigi Sassi, è stato iscritto nel registro degli indagati con i capi di incolpazione di omessa bonifica, inquinamento ambientale e inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, con l’accusa di non aver ottemperato alle ordinanze n. 3 e 4 del 2015 adottate dalla Provincia di Barletta-Andria-Trani, con cui si obbligava alla bonifica del sito la Timac, ritenuta responsabile dell’inquinamento dell’area, e rispetto alle quali l’azienda ha presentato ricorso al Tar. Il sequestro preventivo d’urgenza è stato convalidato dal gip di Trani il 20 giugno 2016.
Il 30 giugno 2016, Timac ha presentato istanza di riesame del sequestro, sostenendo che il provvedimento adottato dalla procura sarebbe non solo illegittimo, ma anche infondato nel merito, contraddittorio, sproporzionato e lacunoso dal punto di vista di un’effettiva conoscenza delle disposizioni in materia ambientale. Nell’istanza di riesame, la Timac sottolinea che:
1) Nessun inquinamento nell’aria, in falda e nel sottosuolo deriva dall’attività dell’azienda
Il processo produttivo dell’impianto non comporta alcun tipo di inquinamento nell’aria. Lo riconosce la stessa Procura di Trani nel provvedimento di sequestro, affermando che «negli anni la Timac è stata oggetto di più o meno costanti campagne di monitoraggio dell’aria da parte dell’Arpa Puglia e di procedimenti di automonitoraggio… in nessun caso, come confermano i consulenti tecnici della Procura, sono stati superati i limiti prescritti dall’Aia (Autorizzazione integrata ambientale)».
L’attività produttiva di Timac non contribuisce in alcun modo a causare alcun inquinamento anche in falda e nel sottosuolo. Lo stabilimento è infatti un impianto produttivo a ciclo chiuso, privo di scarico in qualsiasi corpo recettore, e che quindi esclude per sua natura ogni possibilità attività contaminante dello stesso. Tutte le campagne di monitoraggio effettuate negli ultimi anni hanno dimostrato che la falda acquifera risulta già inquinata a monte dello stabilimento ed esce a valle di esso senza essere inquinato nel percorso che effettua scorrendo sotto il perimetro dello stabilimento e, anzi, i valori di contaminazione entrano più elevati da monte ed escono più ridotti a valle di Timac. La contaminazione, in definitiva, proviene da monte idrogeologico rispetto allo stabilimento.
2) Altroché inerzia dell’azienda sulle emissioni maleodoranti
Secondo la Procura, Timac non ha ancora proceduto a «individuare e adottare la tecnologia più adeguata alla rilevazione costante dell’acido solfidrico», e «pertanto procede solo alla rilevazione discontinua dell’H2S con cadenza mensile», e ciò «impedisce di fatto di accertare se i cattivi odori reiteratamente lamentatati dalla popolazione siano imputabili all’attività dell’azienda». In realtà, il monitoraggio mensile dell’H2S è espressamente previsto come alternativa a quello in continuo e che nelle BAT di settore (BREF LVIC-AAF),alla emissione di H2S non è associata alcuna criticità. Timac ha provveduto tempestivamente ad eliminare ogni disagio odorigeno potenzialmente proveniente dalla propria attività. A conferma di ciò, inoltre, un recente sopralluogo dei vigili del fuoco della stazione di Barletta ha confermato l’assenza nell’aria «di alcun valore anomalo di nessun genere di sostanza» proveniente dallo stabilimento. E non potrebbe essere altrimenti, visto che nel triennio 2008-2010 è stato installato un sistema di abbattimento di odori denominato Tecnium, basato su una tecnologia totalmente nuova sviluppata dal gruppo Roullier e validata anche attraverso un protocollo di sperimentazione avviato con l’università di Bari. L’impianto è costato complessivamente circa 2 milioni di euro.
3) L’azienda non ha alcun obbligo di bonifica, eppure la sta già facendo
La difesa dell’azienda sottolinea come Timac, in virtù della normativa vigente (non solo il Codice dell’ambiente, ma anche numerose sentenze adottate dal Consiglio di Stato e dalla Corte di giustizia dell’Ue), non ha alcun obbligo di adottare misure di bonifica o di messa in sicurezza per porre rimedio a una situazione di inquinamento causata dai precedenti proprietari dello stabilimento, ma solo di adottare le misure di prevenzione al fine di contenere il danno all’ambiente o la minaccia di tale danno. Nonostante non ci sia alcun obbligo in capo a Timac, quest’ultima ha comunque deciso di attivare un procedimento volontario di bonifica sui terreni del sito, sfociato con l’approvazione di Messa In Sicurezza Operativa-MISO (che è la tipologia di bonifica prevista dal codice dell’ambiente per questi casi), poi attuata nella sua interezza e verificata nella sua efficacia tra i mesi di ottobre 2015 e maggio 2016 (tutte attività non considerate nell’indagine della Procura).
Nella Conferenza di servizi dell’11 luglio 2016, le amministrazioni locali hanno unanimemente riconosciuto il pieno adempimento di Timac agli impegni assunti sull’attuazione delle MISO sul suolo.
Tali attività eliminano dunque alla radice ogni elemento soggettivo (il dolo, ossia la mancanza di volontà di effettuare le procedure previste dalla legge in caso di contaminazione e – conseguentemente - di inquinare) ed oggettivo (l’omessa bonifica e l’inquinamento) su cui si fonda l’assunto accusatorio.
5) Altroché inerzia per il rilascio della Via (Valutazione di impatto ambientale)!
Anche se il rilascio della Via - trattandosi di uno stabilimento già in esercizio da moltissimi anni e non nuovo - non è assolutamente un presupposto dell’Aia, il procedimento autorizzatorio ha seguito i tempi del normale iter previsto dalla legge. Secondo la Procura, Timac ha evitato di comunicare alla Provincia la categoria progettuale sulla scorta della quale classificare il proprio impianto produttivo, ma ciò è avvenuto soltanto per l’assenza negli elenchi allegati alla Legge regionale 11/2001 (precedente al D. lgs. 152/2006) della tipologia dell’impianto nella quale rientrava lo stabilimento Timac. Nonostante le difficoltà burocratiche, non imputabili all’azienda, quest’ultima non ha mostrato alcuna inerzia e ha invece avuto con la Provincia un dialogo costante e completo, comunicando, ad esempio, già nel 2012, che la categoria progettuale era la stessa di quella già comunicata in fase di istanza Aia. Si nota inoltre come Timac non abbia attualmente alcuna azione pendente nell’iter di conseguimento della Via: tutta la documentazione è pubblicata da tempo sul portale della regione Puglia.
6) L’azienda ha rispettato le ordinanze provinciali, anche se illegittime
Con l’adozione delle ordinanze n. 3 e 4 del 2015, con cui è stato richiesto alla Timac di eseguire la bonifica totale dell’intera area, acque di falda comprese, la Provincia BAT ha esercitato un potere che non spetta ad essa, ma alla Regione, che su tale aspetto si era peraltro già espressa in sede di Conferenza di servizi, come?, smentendo le tesi della Provincia e approvando il piano MISO proposto da Timac. Nonostante fosse certa delle sue ragioni, Timac ha proseguito a proprie spese nella sua attività di indagine della falda dell’intera area industriale di Barletta e – nonostante non fosse soggetto contaminatore – ha provveduto ad effettuare l’attuazione delle integrazioni di MISO sui terreni, proponendo già dal mese di marzo 2016 agli enti una messa in sicurezza operativa sulla falda che va ad effettuare un pump and treat al punto di conformità in uscita dello stabilimento, il pz3, l’unico piezometro che – ai sensi dei risultati delle prime analisi dello studio idrogeologico effettuate dalle stesse pubbliche autorità - risulta contaminato in uscita.
La Conferenza di servizi dell’11 luglio 2016 ha autorizzato in sede “decisoria” l’attuazione dell’operazione di pump and treat proposta da Timac. Il meccanismo consentirà di estrarre dalla falda le acque che registrano valori anomali (pur se non dovuti all’attività dello stabilimento) e di sottoporre queste acque a trattamento per renderle definitivamente inoffensive per l’ambiente. Il processo sarà svolto sotto l’attento controllo di Arpa. L’intervento sulla falda si aggiunge così a quello già operativo sul suolo e allo studio idrogeologico reso possibile dalla disponibilità dell’azienda in termini operativi ed economici.
Timac sta dunque pienamente ottemperando esattamente a quanto richiesto dalle due ordinanze provinciali n. 3 e 4 del 2015, ed è rimasta tutt’altro che inerte di fronte a tali ordinanze (seppur ritenute, come detto illegittime, e pertanto oggetto di ricorso al Tar). Timac ha ottemperato alle ordinanze della provincia non perché si è trovata nella condizione di sanare qualcosa di trascurato fino ad allora, ma semplicemente perché l’azienda ha sempre agito in questo modo, seguendo ciò che gli enti e le amministrazioni hanno sempre chiesto. Se tra agosto 2015 e settembre 2016 la provincia ha deciso che ciò che era stato chiesto a Timac fino a quel punto non era più considerato sufficiente (per motivi misteriosi non essendo intervenuti fatti nuovi) è difficile rintracciare una responsabilità dell’azienda.
7) Un sequestro illegittimo e fondato su ragioni solo mediatiche, non giuridiche
Infondato nel merito e sproporzionato visto che una bonifica è già in atto nel sito Timac: il sequestro disposto dalla Procura di Trani risulta essere dettato da ragioni più mediatiche che giuridiche. Ad ammetterlo è la stessa procura, che scrive chiaramente di essere intervenuta su spinta di una rilevante pressione mediatica e sociale, e a causa dell’inerzia degli organi preposti alla soluzione del problema. Nel nostro ordinamento, però, non vi è alcuna norma che attribuisce all’organo inquirente un potere suppletivo verso attività che la legge attribuisce esclusivamente agli Enti locali (e alle autorità competenti individuate dalla normativa ambientale) e che sono ad essi riservate anche in virtù di specifiche competenze tecniche.
La Procura mostra insomma una tendenza a sconfinare in campi non propri, in virtù di spinte mediatico-sociali: una prassi non nuova nell’ambiente inquirente di Trani, se si considerano le polemiche che negli ultimi anni hanno caratterizzato alcune sue attività di indagine (in gran parte finite nel nulla) sui temi più disparati (dal presunto complotto ordito dalle agenzie di rating statunitensi contro il governo italiano, alla recente inchiesta sul nesso tra vaccini e autismo).
8) Un sequestro incompatibile e in aperta contraddizione con la “facoltà d’uso”
C’è una incompatibilità evidente tra l’adozione del sequestro (con l’accusa di perdurante inquinamento proveniente dalla produzione dello stabilimento) e la concessione della facoltà d’uso dell’impianto stesso con finalità di bonifica. La facoltà d’uso, infatti, consente proprio la prosecuzione delle attività che la Procura ritiene pericolose e non autorizzate. Perché dunque un simile provvedimento? E’ la stessa Procura a essere consapevole che non c’è nessuna relazione tra l’impianto e l’inquinamento dell’area, e quindi il proseguimento dell’attività industriale di Timac non può in alcun modo aggravare o protrarre le conseguenze del reato contestato o agevolare la commissione di altri (ossia le esigenze che avrebbero motivato il provvedimento cautelare).
9) L’uso del sequestro condizionato è giuridicamente illegittimo
La Corte di Cassazione ha censurato più volte il ricorso al sequestro condizionato, come strumento di pressione per sollecitare gli “inquinatori” al ripristino dello stato dei luoghi, sulla base del principio che la bonifica dei luoghi interessati da reati ambientali non può essere disposta dall’autorità giudiziaria in pendenza di procedimento penale, ma solo irrogata con sentenza di condanna (Cass. Pen., Sez III, 10 giugno 2014, n. 28577). Inoltre, specificando un termine di 90giorni, la procura mostra di avere una scarsa consapevolezza del concetto di “bonifica”, nonché dei tempi tecnici e dei passaggi amministrativi necessari alla sua realizzazione.